domenica 27 settembre 2015

Nel valutare la domanda di ammissione al passivo fallimentare, il giudice può rilevare d’ufficio la mancata prova della data del contratto

Riferimento:  Impresa agricola Vivai F.lli Zanzi & C. s.a.s. c. Fallimento Agricola Sud Srl, Cass. S.U. Civili n. 4213/2013

Il caso: in data 28.6.2000, l’impresa Vivai F.lli Zanzi e & C. aveva chiesto di essere ammessa del fallimento dell’impresa Agricola Sud Srl, per un credito di 132.464.368 lire, di cui 111.880.000 in via privilegiata. In sede di decisione sulle domande di insinuazione, il giudice  dichiarava l’istanza improponibile. Tale pronuncia veniva poi modificata dalla competente Corte d’Appello, la quale dichiarava in rito la correttezza della predetta istanza, ma ne censurava l’infondatezza nel merito, in quanto nella documentazione prodotta mancava la prova dell’anteriorità del rapporto contrattuale tra le due ditte rispetto al momento del fallimento (requisito essenziale per poter partecipare alla procedura concorsuale).

In seguito a tale decisione l’impresa Zanzi esperiva ricorso per Cassazione, rilevando che la decisione d’appello non teneva in considerazione il fatto che, se era vero che con l’istanza non era stata provata la data del rapporto contrattuale, in ogni caso la curatela non aveva eccepito la sua mancata prova, sicché in forza del principio di non contestazione (ex art. 115 c.p.c.) il requisito della data doveva comunque ritenersi provato a favore dell’istante.

Il collegio investito della causa decideva quindi di rimettere gli atti al Primo Presidente, affinché valutasse una eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite per risolvere l’irrisolta questione (a livello giurisprudenziale) se la prova della data delle scritture private sia da intendersi quale elemento costitutivo del diritto di credito del creditore istante (e quindi sia quest’ultimo a doverlo provare, in sede di richiesta di ammissione al passivo fallimentare), o non sia piuttosto un fatto impeditivo al riconoscimento del diritto stesso (e sia quindi onere della curatela eccepirlo, intendendosi, in caso contrario, per provato). La pronuncia delle Sezioni Unite si rendeva consigliabile, ad avviso del collegio, in quanto entrambe le tesi esposte erano state sostenute, in passato, da diverse sentenze della Cassazione.

Con la sentenza in oggetto, le S.U. rigettavano infine il ricorso.

Vuoto normativo: la legge non stabilisce su chi ricade l’onere di provare l’anteriorità dei rapporti contrattuali, fatti valere in sede di insinuazione al passivo fallimentare, rispetto alla data del fallimento.

Analisi della decisione: la decisione delle Sezioni Unite si fonda su due passaggi, costituenti a loro volta due nuovi principi di diritto.

Anzitutto, la Corte afferma che nei confronti della curatela fallimentare non può applicarsi l’art. 2710 c.c. Tale articolo stabilisce che tra soggetti imprenditori la prova di un rapporto contrattuale (di tutti i suoi elementi, e quindi anche della sua data) può essere fornita anche con la semplice produzione in giudizio di libri e scritture contabili regolarmente tenute. La Corte esclude l’applicabilità di tale norma rispetto alla curatela, affermando che la curatela non può essere equiparata alla controparte che stipulò i relativi contratti. Conseguentemente, rispetto alla curatela l’unica norma applicabile diviene l’art. 2704 c.c., il quale stabilisce che per la prova della data delle scritture private non bastano i soli documenti contrattuali ma occorre dimostrare, attraverso prove ulteriori (registrazione della scrittura, morte o sopravvenuta impossibilità fisica del sottoscrittore in un dato momento), che loro formazione è avvenuta precedentemente al fallimento.

Va rilevato che questa parte della sentenza si fonda su un assunto teorico (distinzione curatela – contraente originario), che, tuttavia, cela una ragione essenzialmente pratica: ossia, la necessità di applicare una disposizione sulle prove che sia adatta alla procedura concorsuale fallimentare. Il vero problema, è che l’art. 2710 c.c. è una disposizione dalla portata probatoria troppo ampia, che semplifica la prova dei rapporti contrattuali nella loro interezza: se si applicasse nei confronti della curatela, per quest’ultima sarebbe sostanzialmente impossibile opporsi a qualsiasi richiesta di ammissione al passivo fallimentare. Viceversa, l’art. 2704 c.c. dà modo alla curatela di giocare alla pari, consentendo al creditore di produrre prove a sostegno della propria pretesa e alla curatela di esprimere il proprio parere favorevole o sfavorevole all’ammissione del credito.

Presupposto, quindi, che tra l’art. 2710 ed il 2704 c.c. al curatore si applica  indubbiamente il secondo, la domanda da porsi a questo punto è: su chi graval’onere della prova ex art. 2704 c.c.? È il creditore istante a dover dimostrare che il rapporto contrattuale fu antecedente al fallimento, o piuttosto il curatore a dover sollevare l’eccezione della mancata prova della data?

A tale quesito (che introduce il secondo passaggio della sentenza delle S.U., ed il relativo principio di diritto) la Corte risponde con il seguente ragionamento. La cosa importante, si dice, è che la procedura fallimentare, caratterizzata da stringenti norme speciali, non si trasformi in un evento in grado di pregiudicare in modo imprevedibile i creditori. Infatti, proprio perché di norma la prova in giudizio di rapporti tra imprenditori è molto semplice (art. 2710 c.c.), sarebbe consigliabile “attutire” gli effetti derivanti dall’apertura della procedura fallimentare, evitando ai creditori che vogliano far valere il proprio credito degli oneri probatori improvvisamente molto più gravosi rispetto a quanto gli stessi sottostavano inizialmente. Dunque, è il ragionamento delle S.U., certamente non è opportuno che la prova della data ex art. 2704 c.c. sia tutta a carico del creditore, intendendo la stessa come fatto costitutivo del suo diritto. La soluzione migliore è immaginare la data come fatto impeditivo, ossia un fatto da intendersi per provato e la cui assenza, semmai, deve essere eccepita dalla curatela.

La Corte, però, si spinge oltre, arrivando a dire che il fatto impeditivo della data costituisce un’eccezione in senso lato, ossia un’eccezione che può anche essere sollevata d’ufficio dal giudice. Quest’ultimo, in tal caso, deve solo ricordarsi di dare un termine alle parti per controbattere sulla questione da lui stesso rilevata, ex art. 101 co. II c.p.c., prima di assumere la decisione. Sulla base di tale argomento, la stessa Corte rileva poi che,  nel caso concretamente sottopostole, il curatore non aveva opposto la mancata prova della data, mentre era stato il giudice di appello ad averne rilevato d’ufficio l’eccezione. Tuttavia, prima di decidere, il giudice si era dimenticato di concedere un termine alle parti per controvertere sulla questione, ex art. 101 co. II c.p.c., cosa che invece avrebbe dovuto fare. A sua volta, però, il ricorso della ditta Zanzi, non poteva essere accolto, in quanto non andava a contestare questo punto, ma si limitava solo ad invocare la non contestazione della data da parte della curatela.

Deve rilevarsi che anche questa seconda parte della sentenza risulta sorretta da delle argomentazioni che nascondono, in realtà, altri motivi. Infatti, più che soffermarsi in modo astratto sul pregiudizio che i creditori imprenditori subiscono con l’apertura di procedure fallimentari, occorre concentrarsi sulle nuove regole applicabili ai processi, in particolare sul principio di non contestazione (introdotto all’art. 115 dalla legge n. 69/2009).  Quest’ultimo, valevole in modo “indiscriminato” per tutte le procedure processuali del nostro ordinamento, rischia talvolta di rompere gli “equilibri” e gli strumenti processuali propri di alcuni procedimenti; sicché la giurisprudenza, nelle proprie sentenze, è ormai costretta (sia pure senza dirlo) ad “inventare” delle norme processuali suppletive, che pongano delle “toppe” e ristabiliscano l’equilibrio originario.

Nel caso di specie, in particolare, se si fosse affermato che la data certa costituisce elemento costitutivo del diritto del ricorrente, si sarebbe anche dovuto applicare, conseguentemente, il principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c., e le S.U. avrebbero dovuto dar ragione al ricorrente: il curatore non aveva infatti contestato la mancanza della data. Ed anche ritenendo l’eccezione quale fatto impeditivo in senso stretto (cioè rilevabile dal solo curatore), le S.U. avrebbero dovuto comunque applicare l’art. 115 c.p.c., dando, in presenza di una eccezione non mossa dal curatore, di nuovo ragione al ricorrente.

Il principio di non contestazione, in sostanza, rende obbligata la scelta in concreto adottata ed il principio di diritto ad essa sotteso (ossia, la data come oggetto di eccezione rilevabile d’ufficio).Affermare che la mancanza della data può essere rilevata d’ufficio dal giudice era l’unico modo, infatti, per rigettare in concreto il ricorso. Era stato il il pasticcio del curatore,  il quale non aveva eccepito la mancanza della data, a dare al ricorrente la possibilità di invocare l’art. 115 c.p.c., e a costringere così la Corte ad assumere questo nuovo principio di diritto, al semplice fine di porre una “toppa”. Infatti, o la Corte affermava che il giudice ha il potere di rilevare d’ufficio la mancanza della data (il che si è fatto, con argomenti però dogmatici), oppure doveva per forza dar ragione al ricorrente, stante l’applicazione dell’art. 115 c.p.c. a tutti i fatti: sia quelli costitutivi, sia quelli impeditivi del diritto fatto valere giudizialmente.

Il principio di diritto dichiarato dalle S.U. con questa pronuncia, in definitiva, è volto a colmare un possibile disequilibrio, creato dall’introduzione del principio di non contestazione nel nostro ordinamento. Il disequilibrio si creerebbe perché il curatore, errando (od anche agendo consapevolmente), potrebbe di fatto modificare, in modo pregiudizievole, in fase di insinuazione al passivo fallimentare, il concorso tra i creditori. Così, però, il curatore avrebbe troppo potere, e ad esempio potrebbe decidere  (con lo “strumento” della non contestazione o di una non sollevazione dell’eccezione) di “lasciar entrare” o meno alcuni creditori nella procedura.

Si può pertanto affermare che è corretto ritenere che la data debba essere intesa come elemento impeditivo eccepibile anche dal giudice, ma che – come insegna un corretto approccio pratico ed esperienziale – la migliore motivazione non è quella propinataci dalla sentenza de qua (non è cioè quella che fa riferimento alla necessità di tutelare gli imprenditori da prove troppo difficili) ma è praticissima: è volta cioè ad impedire che il principio di non contestazione possa modificare i rapporti interni alla procedura fallimentare, e producendo delle situazioni potenzialmente pregiudizievoli per i creditori, prima non ipotizzabili.