domenica 20 settembre 2015

In caso di estinzione della società convenuta in giudizio, l’impugnazione della sentenza va fatta contro gli ex soci

Riferimento: Comune di Avellino c. Rainone Costruzioni s.a.s. in liquidazione, Cass. S. U. Civili n. 6070/2013

Il caso: la vicenda riguarda un rapporto contrattuale tra il Comune di Avellino e una società di costruzioni (tale Rainone Costruzioni di Vinko Mladen & C. s.a.s. in liquidazione), avente ad oggetto l’esecuzione di lavori pubblici, per i quali quest’ultima chiedeva di essere pagata. In secondo grado (presso la Corte d’Appello di Napoli), la ditta di costruzioni aveva ottenuto, il 23.12.2008, una sentenza favorevole, con conseguente condanna del comune al pagamento della somma di 402.649,22 euro più interessi. Il Comune di Avellino aveva allora deciso di svolgere ricorso per Cassazione, notificandolo alla stessa Rainone. Tuttavia, in quest’ultimo giudizio si era costituita, in luogo della Rainone, la Compagnia Generali Servizi e Finanza S.p.A., cessionaria del credito dal 15.6.2005, rilevando che, in data 25.5.2007 (cioè prima del termine del giudizio di appello) Rainone era stata cancellata dal registro delle imprese. Essa aveva concluso chiedendo pertanto il rigetto del ricorso del Comune di Avellino per inammissibilità, in quanto svolto nei confronti di una società estinta. La Sezione I della Corte, assegnataria del giudizio, aveva rinviato la causa alle Sezioni Unite, ritenendo che per risolvere la questione sollevata con il controricorso (questione di per sé processuale) fosse necessaria una presa di posizione in ordine al controverso fenomeno dell’estinzione di una società tramite cancellazione dal registro delle imprese (la quale è questione di diritto sostanziale). Le Sezioni Unite avevano infine rigettato il ricorso del Comune di Avellino, ritenendolo inammissibile.

Vuoto normativo: il problema che si poneva per risolvere il presente caso era dato dal fatto che la legge non spiega quale disciplina processuale si applichi nel caso in cui una società sia parte in un giudizio e si estingua durante lo stesso. L’esigenza pratica che si poneva era quindi quella di stabilire la sorte dei gradi pendenti e delle eventuali future impugnazioni, pena un accertamento processuale connotato di una notevole fittizietà rispetto ai rapporti reali.

Analisi della decisione: la mancanza di una tale disciplina, ma il dovere di applicare comunque una qualche norma, ha obbligato la Cassazione ad applicare analogicamente le uniche disposizioni possibili, ossia quelle sulla morte della persona fisica (artt. 110 e 299 c.p.c.). Tali articoli prevedono che, nel caso in cui una persona fisica, parte in un processo, muoia, il processo si interrompe e può essere riassunto da o nei confronti degli ex soci, ai sensi dell’art. 110 c.p.c. Naturalmente, la notizia della morte deve essere portata a conoscenza all’interno del procedimento, altrimenti si considera come non avvenuta. Ed è altrettanto logico, poi, che nel caso in cui tale informativa non venga svolta, ed una delle parti del processo abbia intenzione di impugnare la decisione, l’impugnazione stessa dovrà essere notificata al successore della parte originaria: non è infatti concepibile invocare in giudizio qualcuno che non esiste più. Di qui, l’ovvia considerazione (applicabile anche al caso delle società) per cui l’eventuale impugnazione va ogni caso svolta da parte o nei confronti degli eredi/successori, a pena di inammissibilità della stessa. Detto ciò, si può ritenere che, se vi fosse stata un’apposita disciplina deputata a regolare l’estinzione della società come parte processuale, la giurisprudenza si sarebbe probabilmente limitata ad applicare le norme previste, senza ricercare delle giustificazioni di tipo “dogmatico”, volte a spiegare l’appartenenza delle società ai soggetti passibili di rientrare tra quelli che possono “lasciare in eredità” il proprio patrimonio. Al massimo si sarebbe parlato di una forma sui generis di successione, non assimilabile, comunque, alla successione per causa di morte (evento riferibile solo a persone fisiche). Tuttavia, l’esigenza di regolare in qualche modo il fenomeno processuale applicando delle norme già esistenti (le uniche possibili), ha portato la Cassazione alla stesura di una motivazione che, dal punto di vista sostanziale, hanecessariamente dovuto equiparare il fenomeno della morte della persona fisica a quello dell’estinzione della società. Peraltro, la motivazione muove dagli artt. 2312, 2324 e 2495 c.c., articoli che di per sé regolano solo i debiti societari eventualmente non pagati, stabilendo che i creditori possano rivalersi sugli ex soci (per il totale del debito o nei limiti di quanto ottenuto dal socio in fase di liquidazione, a seconda del tipo di società). Tuttavia, tali norme costituiscono l’appiglio ideale per spiegare che tra società estinta ed ex soci esiste un vero e proprio fenomeno successorio e che, quindi, dal punto di vista processuale non possono che applicarsi gli artt. 110 e 299 c.p.c. Nella propria motivazione, poi, le S.U. indugiano molto sull’analisi del fenomeno successorio visto dalla società, cercano di spiegare che la riconduzione della estinzione alla fattispecie della successione universale è perfettamente ragionevole, aggiungendo che, proprio perché si successione si tratta, anche i crediti eventualmente non ripartiti con la liquidazione “trapassano” a loro volta agli ex soci, con la costituzione, a loro favore, di una forma di comproprietà indivisa. La Corte, poi, oltre a cercare di giustificare la propria “scelta dogmatica”, va oltre, specificando che tra i crediti successibili vanno annoverati solo “beni o diritti certi”, ossia crediti che erano già acquisiti al patrimonio sociale al momento della liquidazione e che solo casualmente non sono finiti nel bilancio di ripartizione; e che viceversa, le semplici pretese o diritti azionabili o anche azionati giudizialmente, ma per i quali non si è poi proseguito il processo o non si è insistito in via stragiudiziale, non devono ritenersi compresi, perché se la società li avesse davvero voluti acquisire al proprio patrimonio, avrebbe aspettato di chiedere la propria cancellazione e la propria estinzione (atto di per sé volontario e quindi leggibile, a contrario, come una forma di rinuncia del credito).